10.05.2014 – Caso Delio Rossi vs Fiorentina: “chi ha leso chi?” Analisi del diritto d’immagine

Siamo al termine della stagione sportiva 2013/2014, già segnata oramai dalla vittoria del terzo scudetto consecutivo della Juventus, dalla retrocessione in serie B del Catania, Bologna e Livorno, dalla vittoria della Coppa Italia del Napoli e dalle deludenti performance nelle competizioni europee delle squadre italiane che ha messo in risalto le superiorità tecniche ed economiche dei club stranieri rispetto alle nostre società.

Come vuole la tradizione calcistica italiana, inoltre, si è assistito al ricorrente “valzer degli allenatori”, i quali esonerati in corso di campionato vengono sostituiti con altrettanti allenatori che non sempre riescono ad iniziare un loro percorso di traghettamento fino al termine della stagione che si vedono già sostituiti con il precedente sostituito (vedasi Sassuolo). Insomma, i presidenti dei club nel momento più delicato e difficile della squadra hanno la consuetudine di svoltare pagina e chiamare un nuovo allenatore che sia in grado di risollevare le sorti della stessa e di trasmettere entusiamo nell’ambiente.

Orbene, bisogna rilevare che non sempre il divorzio con il tecnico esonerato avviene nel migliore dei modi, soprattutto quando ciò avviene per licenziamento per giusta causa, determinando conseguentemente il mancato riconoscimento all’allenatore degli emolumenti che invece avrebbe dovuto percepire in caso di esonero.

Questa volta però, continuando ad analizzare la fattispecie degli allenatori di calcio, quali sportivi professionisti, oggetto della nostra esposizione sarà l’incresciosa vicenda che ha visto coinvolto l’allora tecnico della Fiorentina Delio Rossi ed il suo giocatore Adam Ljajic; più precisamente, nel maggio del 2012, durante la gara contro il Novara, Delio Rossi dopo aver richiamato in panchina Ljajic, veniva offeso dallo stesso calciatore, cosicchè il tecnico sopraffatto dalla tensione del match e dal nervosismo per l’andamento della partita, si scagliò violentemente nei confronti del giocatore prendendolo a pugni davanti a tutti.

Dopo quell’episodio la Fiorentina risolse doverosamente il rapporto con il tecnico Rossi, il quale conscio del suo gesto, non accettò però la decisione del club di licenziarlo per giusta causa, di guisa che, impugnò il licenziamento facendo ricorso in Tribunale, sostenendo l’insussistenza di una giusta causa e chiedendo 1,2 milioni di euro per il restante periodo di contratto che aveva con la società viola e altri 200mila euro per danni d’immagine soprattutto per le occasioni lavorative perse in seguito a quell’episodio.

I legali dei Viola, per contro, hanno subito reagito contestando quanto formulato dall’allenatore, chiedendo altresì un risarcimento per danni d’immagine di circa 1 milione di euro per aver il tecnico con quel gesto infangato l’immagine del club. A fronte di ciò, dopo aver trattato nei precedenti articoli le fattispecie dell’esonero e del licenziamento per giusta causa, in tale esposizione ci soffermeremo sul concetto di diritto d’immagine in relazione anche agli sportivi professionisti, tra i quali rientra appunto l’allenatore ai sensi dell’art.2 della Legge n.91/81, in modo da meglio comprendere le richieste di risarcimento per danni di immagini richiesti sia dall’ex tecnico Viola che successivamente dalla stessa Fiorentina.

Il diritto all’immagine trova il suo fondamento nell’art. 10 cod.civ. e nella c.d. legge sul diritto d’autore n. 633 del 1941, artt. 96 e 97. Al pari di tanti altri diritti fondamentali della persona, il diritto d’immagine può essere visto in positivo e/o in negativo, vale a dire da un lato come concreta possibilità o potenzialità dello sfruttamento della propria immagine per le più svariate ragioni, ivi compresa quella di trarne un utile economico, dall’altro come pretesa alla non ingerenza da parte di terzi nella propria sfera privata, con conseguente tutela contro usi impropri o abusi della propria immagine. L´art. 10 c.c. disciplina l’abuso dell’immagine altrui, imponendo il risarcimento dei danni e la cessazione dell’abuso da parte di colui che espone o pubblica l’immagine, fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione sono consentite dalla legge o con pregiudizio al decoro e alla reputazione della persona stessa o dei congiunti. La legge sulla protezione del diritto di autore all’art. 96 individua nel consenso dell’interessato, l’elemento che esime dalla responsabilità civile il soggetto che espone, riproduce o mette in commercio l’immagine altrui e all’art. 97 prevede che “Non occorre il consenso della persona ritratta, quando la riproduzione dell’immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ufficio pubblico coperto, da necessità di giustizia o di polizia, da scopi scientifici, didattici o culturali, o quando la riproduzione è collegata a fatti, avvenimenti, cerimonie di interesse pubblico. Il ritratto non può tuttavia essere esposto o messo in commercio, quando l’esposizione o messa in commercio rechi pregiudizio all´onore, alla reputazione od anche al decoro della persona ritratta“. La riproduzione dell’immagine del soggetto famoso è lecita solo quando la sua diffusione intenda soddisfare l’interesse pubblico all’informazione o alla conoscenza della sua immagine e non certo quando sia finalizzata all’esclusivo o prevalente scopo della commercializzazione della stessa; nel qual caso ciò formerà oggetto di un apposito accordo negoziale tra le parti, che può assumere varie forme, la più diffusa delle quali oggi è quella del contratto di sponsorizzazione.

D’altra parte il discorso in esame rientra pienamente in una logica strettamente commerciale, nel presupposto che il prezzo della propria immagine è direttamente proporzionale al grado di notorietà. In proposito è bene precisare che il negozio con il quale si consente l’utilizzazione della propria immagine a fini commerciali non ha ad oggetto il diritto in sé che è un diritto personalissimo e come tale inalienabile, ma più semplicemente il suo esercizio.

Gli strumenti più comuni attraverso i quali lo sportivo professionista può sfruttare economicamente la propria immagine sono il contratto di pubblicità e quello di sponsorizzazione. Il secondo può essere considerato una species del più ampio genus della famiglia dei contratti pubblicitari, con la differenza che nella pubblicità si reclamizza il prodotto, l’articolo, mentre nella sponsorizzazione si punta alla diffusione del nomen dell’azienda, dell’impresa. Il secondo, comunque, si va diffondendo sempre di più, anche perché generalmente non comporta l’abbinamento servile dell’immagine dello sportivo a un determinato prodotto, ma, spesso, le differenze sono più formali che sostanziali.

Oggi infatti si parla di testimonial, termine ambiguo, in quanto riferibile tanto all’una quanto all’altra. Naturalmente lo sport è uno scenario perfetto per le imprese, perché interessa davvero i consumatori, li diverte, suscita emozioni uniche ed abbraccia un pubblico molto vasto e trasversale. E’unico, universale, colpisce un target molto ampio.

Con una sponsorizzazione sportiva l’azienda cerca di allargare il più possibile la portata del contatto con il pubblico. La sponsorizzazione sportiva, a differenza della pubblicità classica, non è visione passiva, ma veicola il messaggio in maniera molto più profonda e penetrante, grazie al coinvolgimento emozionale in un ambito di interesse. L’indirizzo predominante qualifica il contratto di sponsorizzazione come contratto atipico a titolo oneroso a prestazioni corrispettive, la cui causa risiederebbe nello sfruttamento pubblicitario dello sponsorizzato verso corrispettivo. In particolare, la causa dello sponsoring viene individuata nella “utilizzazione a fini direttamente o indirettamente pubblicitari dell’attività, del nome o dell’immagine altrui verso un corrispettivo che può consistere in un finanziamento in denaro o nella fornitura di materiale o di altri beni”.

Ci si chiede, in particolare, in che misura una gestione tecnica che conduca ad una vera e propria “debacle”, possa rilevare in termini di inesecuzione degli obblighi nascenti dal contratto di sponsorizzazione. Il problema non è di facile soluzione, in quanto quei comportamenti pregiudizievoli, quegli imprevisti negativi non ineriscono al contenuto del rapporto obbligatorio e sono difficilmente riconducibili ad ipotesi di inadempimento.

Si è indotti, infatti, a ritenere che rientra nell’alea normale del contratto di sponsorizzazione la possibilità, così come di una promozione anche di una retrocessione, un infortunio dell’atleta e, generalmente, di un insuccesso sportivo. Del resto la squadra o il singolo sportivo non può impegnarsi contrattualmente a raggiungere un determinato risultato sportivo (vincita del campionato, promozione, salvezza etc.), né può garantire l’assoluta immunità da incidenti fisici che impediscano l’esercizio dell’attività sportiva. Tutte queste sono eventualità che, rientrando nell’ambito del fatto imprevedibile, non possono, certamente, costituire oggetto di impegno contrattuale.

Pertanto, il verificarsi di tali eventi, costituirebbe l’alea normale del contratto di sponsorizzazione e in tali casi lo sponsor non sarebbe di certo legittimato a richiedere la risoluzione del contratto ed il risarcimento dei danni per il disposto degli artt. 1453-1467 c.c.. In considerazione di ciò, le parti contraenti optano preferibilmente per l’adozione di particolari clausole nelle quali si prevede il recesso unilaterale dello sponsor in ipotesi di “retrocessione” della squadra in una categoria o serie inferiore, di squalifica dello sponsorizzato per un periodo non breve o per cause infamanti (ad esempio, doping, scommesse clandestine), o di comportamento dello sponsorizzato tale da ingenerare una immagine negativa (ipotesi tutte di c.d. “interferenza d’immagine negativa”).

Ancora, talvolta si prevede l’automatica risoluzione del rapporto nei casi di impedimenti oggettivi, quali malattie od infortuni, che colpiscano lo sponsee e non ne consentano il proseguo dell’attività per un notevole periodo di tempo. Si ritiene tuttavia che rientri nella diligenza pretendibile dallo sponsee l’impegno a fare del proprio meglio per il raggiungimento del risultato atteso dallo sponsor, e quindi, anche in assenza di espressa previsione contrattuale, a porre in essere tutte le eventuali misure e cautele idonee ad evitare pregiudizi allo sponsor; con riferimento all’obbligo di diligenza, inoltre, si ritiene che vi rientrino anche le prestazioni e cautele implicite poste a carico dello sponsee, fra le quali il rispetto delle normative che governano la particolare attività sportiva considerata, e comunque le prestazioni legate al carattere fiduciario del rapporto.

Dunque, i diritti di immagine nel mondo dello sport soprattutto in quello c.d. professionistico di vertice, sono una vera e propria pietra miliare per i suoi protagonisti, ragion per cui anche un licenziamento per giusta causa come quello appena analizzato potrà essere oggetto di richiesta per risarcimento di danni d’immagine. Quella tra Delio Rossi e la Fiorentina si preannuncia essere quindi una vera e propria questione di principio “su chi ha leso chi”, imperniata all’interno di un labirinto giudiziario dal quale non sembra facile uscirne e dove la soluzione sembra tutt’altro che vicina.

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