15.06.2014 – Milan/Seedorf: Scelta la via dell’esonero? Riflessioni sulle vicende Mancini/Inter e Petkovic/Lazio

In questi ultimi mesi, ai piedi della Madonnina, forte era la tensione per la ventilata ipotesi del divorzio tra Clarence Seedorf ed il Milan.

Il subentro dell’olandese a Massimiliano Allegri aveva creato grande entusiasmo nell’ambiente milanista, ma dopo pochi mesi il rapporto tra Seedorf ed il Club rossonero sembrava già appeso ad un filo.

Il 9 giugno scorso, si è chiusa ufficialmente l’avventura di Clarence Seedorf sulla panchina del Milan con una nota poco più lunga di un tweet “AC Milan comunica di avere esonerato l’allenatore Clarence Seedorf e di avere affidato la Prima Squadra, fino al 30 Giugno 2016, a Filippo Inzaghi”.

Negli ultimi 20 anni solo Terim e Tabarez hanno resistito alla guida del Milan meno dei 144 giorni di Seedorf, esonerato in 147 caratteri, con una messaggio ben più freddo di quella che, ad esempio, è toccata a gennaio ad Allegri, “sollevato dall’incarico” con “ringraziamenti” e “auguri”. Per l’olandese, niente di tutto ciò, un pò per strategia legale, un pò per riflesso dello stato dei rapporti col Club. Di certo, così come non si è mai instaurato un certo feeling tra Seedorf e la dirigenza rossonera, di guisa, non è decollata neppure la trattativa fra i legali delle due parti per una risoluzione consensuale con buonuscita.

Così il Milan dovrà pagare a Seedorf 2,5 milioni di euro netti per le prossime due stagioni, finché il tecnico non troverà un altro ingaggio. Ma quali sono le vere ragioni di questo divorzio? Il Milan alla guida del “Professore”, sebbene con risultati altalenanti, nell’ultima parte di campionato, ha sfiorato l’Europa, obiettivo ritenuto impossibile da raggiungere prima del subentro dell’olandese ad Allegri. Dunque, le cause di tale divorzio vanno sicuramente oltre i risultati in campo; infatti, alle criticate scelte tecniche ed alle opinabili metodologie degli allenamenti di cui Seedorf è stato accusato, sembrerebbero aggiungersene altre non inerenti l’ambito tecnico. Invero, a Seedorf viene rimproverata l’eccessiva autonomia nelle uscite con la stampa, quale ad esempio un’intervista rilasciata dall’allenatore milanista a Sky senza informare la società, dove precisava il proprio futuro e soprattutto, la celebre frase, riportata dal leader della Curva Sud, Giancarlo Capelli, durante il faccia a faccia post-Parma, secondo la quale, il tecnico avrebbe rivelato: “Non mi fido di questi calciatori, non sono da Milan. A fine stagione cambio tre quarti della rosa”.

A fronte di tale comportamento ed al fine di tutelare gli aspetti economici del Club, i legali rossoneri hanno iniziato a vagliare tutte le possibili opzioni in vista di una risoluzione anticipata, in corso di stagione o al termine della stessa, del ricco contratto che lega il tecnico olandese al Milan sino al 2016. Infatti, il vero dilemma che si poneva in questi mesi, non era quello di attendere gli esiti delle partite o il posizionamento in classifica al termine del campionato, bensì scegliere se perseguire la via dell’esonero oppure trovare qualche appiglio per predisporre un licenziamento per giusta causa, nel qual caso a Seedorf verrebbero addebitati tutti gli episodi in cui ha preso iniziative autonome che potrebbero procurare danni economici e d’immagine al Club.

Ad oggi l’enigma sembrerebbe essere stato risolto a favore dell’esonero, ciononostante risulta molto importante conoscere le diverse conseguenze scaturenti da un eventuale esonero o da un possibile licenziamento per giusta causa e, per favorire tale comprensione, baseremo la nostra analisi su alcuni precedenti in presenza dei quali la vicenda Seedorf / Milan poteva percorrere strade sostanzialmente differenti. In merito si menzionano due differenti casi riguardanti altrettanti allenatori, nei confronti dei quali si è agito mediante esonero e licenziamento per giusta causa.

Il primo caso, riecheggia sempre in quel di Milano, ma sponda neroazzurra, più precisamente l’azione di esonero rivolta nei confronti dell’allora tecnico dell’Inter Roberto Mancini, il quale al termine della partita con il Liverpool, a causa dell’ennesima esclusione prematura dall’Europa, dichiarava:”Nonostante abbia ancora quattro anni di contratto, credo che questi saranno gli ultimi due mesi e mezzo alla guida dell’Inter”.

A seguito di tale sfogo, indipendentemente dai prestigiosi traguardi raggiunti in quegli anni e dal lungo contratto che lo legava al Club, l’Inter, tra lo stupore dei tifosi, decise comunque di esonerarlo. Il comunicato col quale si ufficializzava l’esonero verteva su tre punti: “1) le parole pronunciate dopo la partita con il Liverpool; 2) il clima di instabilità che si era creato all’interno della squadra; 3) i «fatti più recentemente emersi»”, con chiara allusione alla vicenda delle telefonate intercettate. Dunque, tali dichiarazioni, analogamente a quelle pronunciate dal tecnico olandese Clarence Seedorf, non essendo state gradite dai vertici della società, erano state utilizzate come causa di esonero.

Ma che cos’è in termini giuridici l’esonero? Esiste una giusta causa di esonero?

L’esonero dell’allenatore è un istituto giuridico particolare, proprio dell’ordinamento sportivo, che si realizza nella rimozione dell’allenatore dalla conduzione tecnico-agonistica della squadra che gli era stata affidata, liberandolo così dalla sua obbligazione lavorativa, pur nella “continuazione” del rapporto di lavoro e della retribuzione. In altre parole, l’allenatore esonerato rimane pur sempre a disposizione della società che lo esonera, ben potendo, quest’ultima, richiamarlo nel corso della stagione per riprendere a svolgere le sue prestazioni, come spesso è avvenuto ed avviene (vedi ultimamente ad es.: Di Francesco col Sassuolo).

L’esonero dell’allenatore configura, inoltre, una fattispecie di mutamento unilaterale del contenuto contrattuale, cui si applicano le regole generali. Non sussistendo consenso dell’altra parte, l’esonero diviene legittimo solo quando la prestazione in sé sia divenuta impossibile, ma non per colpa dell’allenatore e quindi non in modo tale da giustificare la risoluzione del contratto. Ed è chiaro che, essendo la locatio operarum un’obbligazione di mezzi e non di risultato, anche pessimi risultati sportivi da soli non potrebbero configurare una responsabilità dell’allenatore.

Va poi ricordata quella corrente giurisprudenziale secondo cui, proprio dal principio dell’art. 1175 cod. civ. si ricaverebbe che gli stessi atti di esercizio dei poteri discrezionali del datore di lavoro sono soggetti alla regola della correttezza, con conseguente obbligo della motivazione al fine di esteriorizzare i criteri adottati. Anche dal principio di buona fede si ricava che la prestazione del debitore, per essere utile, deve anche essere possibile.

Si può allora sostenere che l’esonero sia possibile in presenza di una giusta causa che non consenta la continuazione del rapporto di lavoro con quella specifica mansione. L’unica condizione legittimante l’esonero dell’allenatore è quindi la sussistenza di un impedimento oggettivo, assimilabile alla giusta causa prevista nell’art. 2119 del cod. civ. come causa di recesso immediato.

Basandosi dunque sul concetto di giusta causa di esonero, per la sua sussistenza ci si può riferire alla giurisprudenza in tema di giusta causa di recesso, che attribuisce particolare rilevanza all’elemento fiduciario, ritenuto “elemento indefettibile del rapporto”, la cui lesione legittima il licenziamento. Va pertanto ritenuto che, una volta ammessa la necessità di una giusta causa di esonero, questa possa essere ricostruita dal Giudice competente, sulla base di una serie di valutazioni concrete, tenendo però ben presente l’essenziale elemento fiduciario e la specificità del lavoro subordinato sportivo.

La giusta causa di esonero potrà rinvenirsi, allora, nell’impossibilità di continuare ad allenare quella specifica squadra per rottura del vincolo fiduciario allenatore-giocatori, condizionando così l’esercizio del diritto di esonero alla verifica preliminare della fiducia della squadra nei confronti del suo tecnico. In tale ottica l’allenatore sarebbe legittimamente assoggettabile all’esonero qualora non godesse più della fiducia della collettività degli sportivi professionisti facenti parte della squadra affidatagli, perdita di fiducia che gli renderebbe impossibile portare avanti il suo compito di conduzione tecnica. Ove si condivida questa tesi la società potrebbe legittimamente esonerare l’allenatore solo dopo aver verificato la sfiducia della squadra nei di lui confronti. Questa soluzione si adatta anche configurando l’esonero come una facoltà giustificata dall’esercizio dei poteri imprenditoriali, in quanto il corretto esercizio degli stessi non legittima un esonero immotivato correlato solo al puro arbitrio del datore di lavoro (società sportiva).

In presenza di un esonero disposto in carenza dei presupposti che lo possano legittimare, l’allenatore potrebbe chiedere alla società di risarcirgli i danni che gliene derivano e che non vanno limitati a quelli patrimoniali che l’allenatore professionista può subire come indiretta conseguenza della perdita di reputazione connessa al suo esonero. E difatti l’esonero ingiustificato arreca senz’altro anche un rilevante danno non patrimoniale all’allenatore esonerato. Già nel 1995 la Cassazione aveva evidenziato come “in qualsiasi attività professionale l’inattività incida sulla professionalità e sui corrispettivi economici legati all’impiego”, configurando il diritto “in via di principio” in capo al lavoratore “a non essere allontanato da ogni mansione, e cioè il diritto all’esecuzione della propria prestazione” (Cass. Civ. Sez. lav., 3.6.1995 n. 6265).

Dopo l’emersione della categoria del danno esistenziale, nel 2001 si è affermato che “il lavoro costituisce non soltanto un mezzo di sostentamento e di guadagno, ma anche un mezzo di estrinsecazione della personalità del lavoratore” (Cass., Sez. lav., 14.11.2001 n. 14199) per cui l’adibizione a mansioni inferiori o la forzata inattività causano un danno che deve essere risarcito. E nella sentenza Cass. Civ., Sez. lav., 26.5.2004, n.10157, si è affermato che il danno da dequalificazione professionale “attiene alla lesione di un interesse costituzionalmente protetto dall’art. 2 della Cost., avente ad oggetto il diritto fondamentale del lavoratore alla libera esplicazione della sua personalità nel luogo di lavoro secondo le mansioni e con la qualifica spettategli per legge o per contratto, con la conseguenza che i provvedimenti del datore di lavoro che illegittimamente ledono tale diritto vengono immancabilmente a ledere l’immagine professionale la dignità personale e la vita di relazione del lavoratore, sia in tema di autostima e di eterostima nell’ambiente di lavoro ed in quello socio familiare, sia in termini di perdita di chances per futuri lavori di pari livello“.

Orbene, per comprendere meglio quanto appena descritto, riportiamo la vicenda contraddistinta da un’azione di risoluzione contrattuale per giusta causa avanzata da un Club nei confronti di un allenatore, ossia il recente caso Petkovic / Lazio.

Il tecnico bosniaco, infatti, ben prima della scadenza naturale del contratto in essere con la società Lazio, aveva stipulato un contratto con la Federazione elvetica. Tale contratto prevede che Petkovic sarà il nuovo commisario tecnico della Svizzera a partire dal 1° luglio 2014 e fino al 2015, con la condizionale che se la Svizzera si qualificherà per UEFA EURO 2016 in Francia, il contratto sarà prolungato fino alla fine dell’EURO (10 giugno – 10 luglio 2016), subentrando ad Ottmar Hitzfeld, attuale ct della squadra elvetica. Il Patron Lotito, non digerendo tale situazione, in un primo momento, tentò (ma invano) di far chiedere le dimissioni al tecnico in modo da non dovergli corrispondere alcun ulteriore emolumento; successivamente, a fronte di tale rifiuto, il Club laziale mediante comunicato ufficiale dichiarava di aver risolto per giusta causa il contratto di lavoro sportivo con Petkovic. Il tutto, non solo e non tanto per il protrarsi dei risultati negativi della squadra, bensì per essere l’allenatore venuto meno a quei doveri di correttezza (art. 1175 c.c.), buona fede (art. 1375 c.c.) e di lealtà nei confronti della società stessa, impostagli dal contratto di lavoro sportivo; nonché per la violazione dell’obbligo di fedeltà del prestatore di lavoro (art. 2105 c.c.) per aver il tecnico stipulato un accordo con la Federazione elvetica e per non aver messo al corrente la Società stessa delle trattative intercorse con la predetta Federazione e, anzi, avendole sempre negate e smentite. Risulta evidente, dunque, che il licenziamento dell’allenatore per una causa che non consenta la prosecuzione, anche provvisoria, del contratto (giusta causa), ai sensi e per gli effetti dell’art. 2119 c.c. sia diverso dall’esonero.

Giusta causa che può essere ravvisata in qualsiasi evento o serie di eventi in grado di compromettere, in modo serio e definitivo, il rapporto fiduciario che deve intercorrere tra datore di lavoro e prestatore d’opera e l’interesse del primo alle prestazioni del secondo. Sul punto bisogna precisare che, in attuazione della legge 91/81 sugli sportivi professionisti, di cui fa parte l’allenatore, nella sua qualità di non atleta, è previsto espressamente l’inserimento di specifiche clausole compromissorie nei contratti collettivi di lavoro sportivo che prevedano la possibilità per le parti, di deferire ad un Collegio Arbitrale la risoluzione delle controversie riguardanti l’attuazione del contratto di lavoro. Nel caso del calcio, gli Accordi Collettivi sono quelli stipulati tra F.I.G.C., A.I.A.C. (Associazione Italiana Allenatori Calcio) e rispettivamente dalle varie Leghe Nazionale Professionistiche di serie A, B e Lega Pro.

L’Accordo Colletivo per la serie A è entrato in vigore il 1° luglio 1990, si è tacitamente rinnovato sino al 30 giugno 2008, prorogato, con successivi accordi, sino al 30 giugno 2009 ed è attualmente scaduto. In tale Accordo Collettivo l’art.30 prevedeva che “La risoluzione di tutte le controversie concernenti l’attuazione del contratto o comunque il rapporto tra società ed allenatore, sarà deferita ad un Collegio Arbitrale, composto da tre membri, di cui 2 designati, di volta in volta, rispettivamente dalla società e dall’allenatore, tra le persone indicate negli elenchi depositati presso la FIGC dalle competenti Leghe e dalla AIAC secondo le disposizioni delle Carte Federali. Il Presidente sarà designato son la procedura di cui al Regolamento per il funzionamento del Collegio Arbitrale, fra le persone inserite in altro elenco depositato presso la FIGC, preventivamente concordato dalle parti firmatarie del presente Accordo”. Poiché, a seguito delle intervenute proroghe dell’Accordo Collettivo scaduto, sono rimasti privi di efficacia gli elenchi dei componenti dei Collegi Arbitrali previsti dal suddetto Accordo scaduto, le liti insorgende dovrebbero intendersi attualmente devolute e decise da parte di Collegi Arbitrali composti da tre membri, di cui due nominati, uno ciascuno, dalla società e dall’allenatore, senza alcun vincolo di lista, ed il terzo, con funzioni di Presidente, nominato d’intesa tra i due membri nominati dalle parti o, in difetto, d’intesa tra i Presidenti della Lega di Serie A e l’AIAC.

Per quello che concerne le situazioni che si determinano nei rapporti tra società e sportivi professionisti in conseguenza di Accordi Collettivi scaduti e non ancora rinnovati, è necessario fare riferimento ai principi di cui al parere emesso il 29-30 luglio 2010 dall’Alta Corte di Giustizia del CONI, su richiesta della FIGC, in materia di Accordi Collettivi, in quel caso per i calciatori, ma che valgono senz’altro anche per gli allenatori. Nel richiamato parere l’Alta Corte ha stabilito che “La scissione con la creazione di due nuovi organismi rappresentativi di una categoria non determina, di per sé, l’inapplicabilità degli obblighi assunti in Accordo precedentemente sottoscritto e richiamati nei contratti individuali di riferimento”. Ha stabilito, altresì, che “l’ultrattività di contratti collettivi, oltre la naturale scadenza, può avvenire, oltre che per una clausola espressa in tale senso, anche per “facta concludentia”: vale a dire, per comportamento spontaneo delle parti contrattuali”. Circa, poi, i contratti individuali, questi continuano ad avere i loro effetti fino alla naturale scadenza contrattuale, compresi i richiami alla contrattazione collettiva operante al momento della stipula, o, se stipulati nelle more del rinnovo di Accordi collettivi scaduti e non ancora rinnovati, continuano ad avere i medesimi effetti e per la durata di cui sopra, qualora contengano un espresso riferimento ai suddetti Accordi collettivi ed utilizzino il precedente modulo di contratto tipo di prestazione sportiva”.

Dunque, fintanto che non venga stipulato tra F.I.G.C., Lega Nazionale Professionisti Serie A e A.I.A.C., un nuovo Accordo Collettivo, in ossequio al parere dell’Alta Corte di Giustizia del CONI, dovrebbero trovare applicazione tutte le norme previste dal precedente Accordo collettivo. Per la Serie B e la Lega Pro sono invece in vigore gli Accordi in virtù dei quali (ex art. 9 Serie B e art. 8 Lega Pro) eventuali controversie, quali quelle in questione, debbono essere rimesse ad un Collegio Arbitrale.

Tali Collegi, però, operano in modo differente: – per la Lega di Serie B, il Collegio Arbitrale (di seguito: CA) ha sede a Milano, presso la Lega Nazionale Professionisti Serie B (di seguito: Lega B). La Lega B e l’A.I.A.C. devono fornire alla Segreteria del CA l’elenco condiviso dei quattro Arbitri, tra i quali gli arbitri nominati dalle parti potranno nominare di comune accordo il terzo arbitro con funzioni di Presidente (“Elenco dei Presidenti”).

In difetto d’intesa o di intesa tempestiva, il Presidente del CA viene nominato mediante estrazione a sorte, a cura del Segretario, tra i soggetti componenti l’Elenco dei Presidenti su richiamato.

Gli arbitri di parte dovranno essere nominati tra Avvocati iscritti al relativo Albo professionale o tra magistrati non più in attività. Gli Arbitri di nomina di parte e il Presidente dovranno, ove accettino l’incarico, darne comunicazione in forma scritta alla Segreteria entro il termine di 5 giorni lavorativi dalla data di ricevimento della nomina.

L’accettazione della nomina da parte degli arbitri dovrà avvenire mediante sottoscrizione dell’atto di accettazione recante il testo indicato in un apposito modello ivi allegato, ove in particolare l’arbitro si impegna a svolgere il mandato in piena indipendenza e imparzialità. Infatti, gli Arbitri di nomina di parte e i Presidenti che pure abbiano accettato l’incarico loro conferito, dovranno in ogni caso rimettere l’incarico immediatamente ove sopravvengano circostanze che potrebbero, secondo l’impegno assunto e, secondo la comune sensibilità, pregiudicare il corretto svolgimento del mandato, assumendo altresì l’obbligo di mantenere riservata qualsiasi notizia o informazione inerente le controversie, gli argomenti trattati e le parti.

Gli Arbitri di nomina di parte possono essere ricusati, con apposito procedimento, qualora ricorrano circostanze per effetto delle quali essi avrebbero dovuto astenersi ab origine o nel corso del procedimento, nonché nei casi previsti dall’art. 51 cod. proc. civ.

Il Presidente del Collegio, sentiti gli Arbitri di nomina di parte, fissa la data della prima sessione e provvede a convocare le parti a mezzo della Segreteria. Il Collegio deve preliminarmente esperire il tentativo di conciliazione e, ove questo abbia esito positivo, se ne redige verbale riproducente l’accordo, sottoscritto dalle parti dell’accordo stesso o dai loro mandatari e dal Presidente del Collegio, vincolante tra le parti ed ha valore di lodo. Qualora, invece, il tentativo di conciliazione abbia esito negativo, o non possa essere espletato per mancata comparizione di una o entrambe le parti o loro rappresentanti o per difetto del potere di transigere del rappresentante comparso, il Collegio può, nella stessa riunione, deliberare nel merito. In qualsiasi fase del procedimento il Collegio ha facoltà di rinnovare il tentativo di conciliazione, proponendo all’uopo anche la comparizione personale delle parti e/o dei loro difensori, se nominati. Ove non decida nella prima sessione, il Collegio può fissare termini perentori per la produzione di eventuali ulteriori memorie, di eventuali relative repliche e di eventuali documenti, nonché per la deduzione di eventuali mezzi istruttori o la formulazione di domande nuove, fatte salve le decadenze in cui una o entrambe le parti fossero incorse.

Il Collegio conduce liberamente l’istruttoria, disponendo circa l’ammissione e l’assunzione di eventuali mezzi di prova, ivi incluse valutazioni di esperti o consulenze tecniche, secondo opportunità o necessità, privilegiando, nell’ambito della valutazione dei mezzi istruttori, i documenti che risultano regolari secondo le norme federali, e quelle dell’Accordo Collettivo.

Qualora il Collegio rilevi ipotesi di violazioni di disposizioni federali, ne riferisce alla Procura Federale. Terminata la fase istruttoria, il Collegio invita le parti alla discussione orale e, successivamente, decide secondo diritto con l’emissione del lodo. – per la Lega Pro, invece, il Collegio Arbitrale ha sede a Firenze presso il centro Tecnico di Coverciano.

Il Collegio Arbitrale decide le controversie concernenti i rapporti regolati dall’Accordo Collettivo sottoscritto da A.I.A.C. e Lega Pro, anche nel caso di avvenuta retrocessione della Società e/o iscrizione ad un Campionato della Lega Nazionale Dilettanti o di assunzione del Calciatore della qualifica di dilettante, purché la controversia sia stata instaurata nei termini. In ipotesi di promozione o retrocessione nell’ambito delle categorie professionistiche, ai fini della competenza arbitrale rileva l’appartenenza della Società alla Lega Pro al momento della proposizione della domanda. Le persone incluse negli elenchi degli Arbitri e dei Presidenti del Collegio Arbitrale non possono svolgere, neppure indirettamente o per interposta persona, attività di assistenza e rappresentanza avanti lo stesso Collegio.

La Segreteria del Collegio cura l’assegnazione dei procedimenti, per gruppi di cinque, ai Presidenti nominati mediante sorteggio effettuato, alla presenza di un rappresentante della Lega Pro e di uno dell’AIC. I Presidenti via via sorteggiati sono rimessi nell’urna onde provvedere alle successive estrazioni. La Segreteria comunica senza indugio l’avvenuta nomina ai Presidenti estratti, con l’indicazione dei ricorsi loro assegnati.

La parte contro la quale è proposto il ricorso deve, entro quindici giorni dalla ricezione dello stesso, comunicare, con raccomandata A.R. o mezzo equipollente, anche informatico, diretto al Collegio ed alla parte ricorrente, la designazione del proprio Arbitro, la memoria difensiva ed eventuali documenti con l’indicazione, ove possibile, dell’indirizzo di posta elettronica e dei numeri telefonici e di fax da utilizzare nel corso del procedimento. Nella memoria de qua, la parte deve esporre compiutamente le sue difese e produrre i documenti in relazione all’oggetto del ricorso.

Scaduto il termine di cui sopra, ove la parte resistente non abbia provveduto alla nomina del proprio Arbitro, la Segreteria del Collegio ne dà immediata comunicazione al Presidente della Lega Pro, se resistente sia la Società, ovvero al Presidente dell’AIAC, se resistente è il Tesserato. Effettuata detta comunicazione, il terzo Arbitro è scelto senza indugio estraendo a sorte il designato tra i nominativi del corrispondente elenco di categoria; gli Arbitri via via sorteggiati sono rimessi nell’urna e si provvede a nuova estrazione.

Il Presidente, costituito il Collegio, fissa la data della riunione per sentire le parti, personalmente o per mezzo di un loro difensore nominato, e per l’espletamento dell’eventuale istruttoria. Tale data è comunicata alle parti con raccomandata con avviso di ricevimento o mezzo equipollente, anche informatico, a cura della Segreteria, almeno dieci giorni prima della riunione. Le parti che intendano svolgere ulteriori difese o allegare nuova documentazione, devono far pervenire gli ulteriori documenti e le nuove memorie, al Collegio ed alla controparte a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento o mezzo equipollente, anche informatico almeno cinque giorni liberi prima della data fissata per la riunione. Successivamente alla scadenza del termine di cui al precedente comma, non possono essere proposte nuove eccezioni né nuove deduzioni, che estendano la materia del contendere o rendano necessari nuovi accertamenti. Di ogni riunione del Collegio viene redatto un verbale sottoscritto dal Presidente e dagli Arbitri. La parte, in caso di impedimento dell’Arbitro da essa direttamente designato, ha l’onere di provvedere direttamente alla sua sostituzione, di comunicarla al Collegio a mezzo di raccomandata con avviso di ricevimento o mezzo equipollente, anche informatico e di avvertire il nuovo designato della data della riunione ove già fissata.

L’assenza di uno solo degli Arbitri designati non impedisce la prosecuzione del giudizio arbitrale. La riunione non può essere rinviata, se non per giustificata istanza congiunta delle parti o per grave motivo addotto da una di esse, purché riscontrato dal Collegio.

Il Collegio, prima dell’apertura della discussione, deve esperire un tentativo di conciliazione, che potrà essere se del caso rinnovato anche in corso di procedimento, e, ove questo abbia esito positivo, il verbale riproducente l’accordo, sottoscritto dalle parti o dai loro difensori nominati e dal Presidente del Collegio, è vincolante tra le parti ed immediatamente esecutivo.

Qualora il tentativo di conciliazione abbia esito negativo o non possa essere espletato per mancata comparizione di una o entrambe le parti o loro difensori o per difetto del potere di transigere del difensore comparso, il Collegio invita le parti, ove presenti, alla discussione orale e può nella stessa riunione deliberare nel merito, ove non ritenga necessario lo svolgimento di attività istruttoria.

Il Collegio conduce liberamente l’istruttoria, disponendo circa l’ammissione e l’assunzione di eventuali mezzi di prova, ivi incluse testimonianze, valutazioni di esperti o consulenze tecniche, secondo opportunità o necessità. Terminata la fase istruttoria, il Collegio invita le parti, ove presenti, alla discussione orale e, conseguentemente, decide sulla base delle difese e degli atti ritualmente depositati in conformità alle disposizioni regolamentari. Qualora dall’esame degli atti emergano violazione di disposizioni federali, il Collegio deve inviare copia degli atti alla Procura federale per i provvedimenti del caso. Il Lodo, anche quando è formato a maggioranza, è sempre espressione del Collegio e deve recare la menzione dell’Arbitro dissenziente.

Salvo diverso accordo delle parti, il Collegio deve depositare il dispositivo del Lodo entro quindici giorni dalla riunione in cui si è trattenuta la causa in decisione. Tale dispositivo, redatto per iscritto e sottoscritto dai componenti del Collegio, deve essere immediatamente trasmesso, a cura del suo Presidente, al Presidente della Lega Pro ed al Presidente dell’AIAC ed inviato in copia a ciascuna delle parti, con lettera raccomandata con avviso di ricevimento o mezzo equipollente, anche informatico.

La motivazione può essere depositata anche successivamente, non oltre trenta giorni dal deposito del dispositivo a norma del comma precedente. I Lodi emessi dal CA, ex Regolamento del CA di serie B e di Lega Pro, hanno natura irrituale, rappresentando manifestazioni della volontà negoziale e transattiva delle parti della controversia e sono appellabili rispettivamente, ex art. 8.3 serie B e art. 14 Lega Pro, ai sensi del decimo comma dell’art. 412 quater c.p.c.. La disposizione de quo, prevede che il lodo emanato a conclusione dell’arbitrato, sottoscritto dagli arbitri e autenticato, produce tra le parti gli effetti di cui agli articoli 1372 e 2113, quarto comma, del codice civile e che il lodo è impugnabile ai sensi dell’articolo 808 ter c.p.c..

Dunque, sulle controversie aventi ad oggetto la validità del lodo arbitrale irrituale, ai sensi dell’articolo 808 ter c.p.c., decide in unico grado il tribunale, in funzione di giudice del lavoro, nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il ricorso è depositato entro il termine di trenta giorni dalla notificazione del lodo. Decorso tale termine, o se le parti hanno comunque dichiarato per iscritto di accettare la decisione arbitrale, ovvero se il ricorso è stato respinto dal tribunale, il lodo è depositato nella cancelleria del tribunale nella cui circoscrizione è la sede dell’arbitrato. Il giudice, su istanza della parte interessata, accertata la regolarità formale del lodo arbitrale, lo dichiara esecutivo con decreto.

Tanto dedotto, emerge con chiarezza come la cessazione del rapporto tra il tecnico olandese ed il Milan poteva concludersi in vari modi, ciascuno dei quali avrebbe prodotto differenti ripercussioni in termini economici per il Club rossonero e, ad oggi, il Milan ha scelto la strada più dispendiosa, dovendo corrispondere a Seedorf 2,5 milioni di euro netti per le prossime due stagioni, salvo possibili e/o eventuali risvolti che, si presume, verranno trattati in sede arbitrale.

Chiudiamo con degli interrogativi di mercato: Perchè esonerare Seedorf, allenatore esordiente, in luogo di un altrettanto allenatore “in erba” come Filippo Inzaghi? Magari si prospetta un possibile ritorno dell’olandese alla guida del Milan, qualora la scelta di Inzaghi risultasse non azzeccata (ipotesi lontana)? Oppure il Diavolo, pensando al futuro e ragionando in termini economici, non abbia dato ad Inzaghi, già contrattualizzato Milan, una chance per mettersi in mostra col solo scopo di attendere l’allenatore desiderato dal Club, oramai affermato in Europa, in scadenza di contratto nel 2015? “…lo scopriremo solo vivendo”.

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